«La qualità e l’eccellenza del vino italiano? Possiamo comunicarla meglio. In Italia e nel mondo»
L’Italia ha finalmente il suo ambasciatore nella più influente associazione del vino al mondo. E l’industria enologica non potrà che guadagnarne.
Lo abbiamo intervistato.
di Paolo Andreatta
Pochi, pochissimi. Meno delle persone che sono state nello spazio. A potersi fregiare del titolo di Master of Wine, infatti, sono solo 418 esperti enologi in tutto il mondo. Uno in Italia: il toscano Gabriele Gorelli.
Classe 1984, esperto di vini e di marketing, Gorelli è il primo italiano in 70 anni di storia a entrare a far parte dell’Institute of Masters of Wine, vera e propria ONU del vino, la più autorevole e antica organizzazione dedicata alla conoscenza e al commercio del vino.
Una novità che segna un passo importante per il mondo vinicolo in Italia, dove l’industria del vino è asset fondamentale per il quadro economico del Paese, a maggior ragione in una fase di rinascita post pandemia.
Quale è stata la spinta a raggiungere un simile risultato?
«È stata più che altro una vocazione, una spinta costante a essere ponte tra discipline diverse. Fin da piccolo sono cresciuto immerso nel settore della produzione vinicola di alto livello. Mio nonno era un piccolo produttore di Brunello di Montalcino. Ho avuto la possibilità di respirare l’atmosfera di questo mondo e ho avuto il tempo di rendermi conto di due cose: da un parte, della sensibilità necessaria per ottenere un prodotto figlio di un rapporto non sempre scontato con la natura; dall’altra, della difficoltà che ancora oggi scontiamo nel comunicare al consumatore questi stessi sforzi, il lavoro e l’eccellenza che sta dietro ai nostri vini».
Un risultato che dà un valore aggiunto a tutta la filiera enologica.
Non dimentichiamo, infatti, che l’Institute of Masters of Wine catalizza rapporti
e interessi di alto livello, di natura economica e culturale.
«Storicamente, il ruolo dei MW è quello di rendere accessibile a tutti le eccellenze, creando valore aggiunto lungo tutta la filiera. Sono figure che a specifiche conoscenze affiancano una visione ampia del contesto. Oggi il mondo del vino è caratterizzato da professionisti con conoscenze profonde in aree ben definite, a cui manca però la visione d’insieme.
Resistono, inoltre, pregiudizi che restituiscono un’immagine distorta del patrimonio enologico italiano. Il mio obiettivo è quello di lavorare per raccontare l’Italia e i suoi vini nel complesso universo del trade internazionale. Aumentando anche la consapevolezza della necessità di costruire relazioni interpersonali e intercanale».
Tra le prerogative del MW c’è anche quella di saper anticipare i trend di oggi e di domani. Il biologico è uno di questi?
«Il biologico fa parte di una serie di valori che i consumatori valutano oggi in maniera sempre più importante. Oltre alla denominazione, alla varietà e all’effettivo profilo sensoriale, il bio ha un impatto cruciale nel processo d’acquisto, anche per vini di altissimo profilo. I consumatori richiedono ormai caratteristiche di sostenibilità per tutti i vini. Si arriva a chiedere referenze vegane anche per vini come il Brunello di Montalcino. Il vino è a tutti gli effetti specchio di una forma di rispetto per ambiente e territorio. E sarà così sempre di più in futuro».
Oggi si parla molto anche dei vini senza alcool. Cosa ne pensa?
«Credo si tratti di un fenomeno da osservare, ma non lo vedo come un’onda particolarmente lunga. Più interessante, invece, il successo dei cosiddetti “vini di piacere”: leggeri, delicati, non eccessivi per asperità sensoriale o grado alcolico. Al tempo stesso, però, non banali o per forza dolci come si credeva in passato. Ci dovremo aspettare sempre di più questo tipo di vino. Nei rossi, nei bianchi e nei rosati, vero e proprio fenomeno dei giorni nostri. Credo che questo sia il vero trend del futuro: scaricare il vino da valori di esclusività, svecchiandolo a favore di valori di convivialità più ampi.