BIO E HORECA. NE PARLA VITTORIO BORGIA CEO DI BIOESSERÌ

VITTORIO BORGIA, FONDATORE E CEO DEL GRUPPO BIOESSERÌ

BIO E HORECA. A CHE PUNTO STIAMO? LO ABBIAMO CHIESTO A VITTORIO BORGIA (foto di copertina), FONDATORE E CEO DEL GRUPPO BIOESSERÌ, CONCEPT RESTAURANT COMPLETAMENTE BIOLOGICO

di Paolo Andreatta

#bio #format #trend

Tempo di lettura: 4 minuti

€ 7 MILIONI

FATTURATO ANNUO

OLTRE 150

DIPENDENTI

“To o bio or not to bio?” Riadattamento shakespeariano oggi arcinoto, di certo non lo era quando, nel lontano 2012, Vittorio Borgia decise di fondare Bioesserì, concept restaurant completamente biologico. Oggi, 10 anni più tardi, Bioesserì è una realtà affermata che conta quattro ristoranti biologici tra Milano e Palermo, quattro pasticcerie – sotto il marchio Baunilla – a cui si aggiunge una partnership con FUD Bottega Sicula.

Una realtà nata sul finire del 2011, quando di bio si parlava solo in termini marginali. È allora che Vittorio, una formazione bocconiana e una carriera nel mondo delle banche d’affari, decide di cambiare vita e, dopo un incontro decisivo con l’AD di Naturasì, principale player nazionale nel bio, dà vita a un format di ristorazione bio unico nel suo genere che oggi cuba 7 milioni di euro di fatturato, con un EBITDA medio di circa il 15%».

PIONIERI DEL BIO

Biosserì è un concept Restaurant certificato del mondo biologico presente a Milano e Palermo. Nato nel 2012 dall’idea dei fratelli siciliani Vittorio e Saverio Borgia garantisce una certificazione biologica di prodotto Icea, su base volontaria. La scelta bio si riflette anche negli ambienti. Gli interni dei locali, infatti, sono realizzati con materiali naturali, colori discreti e rilassanti

VITTORIO, QUELLA DI BIOESSERÌ È STATA UNA SCOMMESSA VINTA. NON ERA SCONTATO NEL 2012, QUANDO TUTTO È INIZIATO. COME È CAMBIATO IL MONDO BIO ITALIANO DA ALLORA?

«Quando abbiamo iniziato, dieci anni fa, il biologico in Italia era nell’ordine del 3%, 4% massimo. Presente quasi esclusivamente nella GDO. L’Italia pagava un ritardo enorme rispetto ad altri Paesi, come quelli nordici o la Germania stessa, dove il bio già registrava percentuali intorno al 50%. Oggi ci sono scaffali e scaffali di prodotti bio in tuti i supermercati. Grandi passi avanti sono stati fatti anche nell’Horeca. Se 10 anni fa avevamo pochissime alternative in termini di forniture e dovevamo rivolgerci per lo più a piccole realtà, oggi anche i grandi distributori Horeca hanno una vasta gamma di prodotti bio».

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IL MONDO BIO HA FATTO PASSI DA GIGANTE TANTO NEL COMPARTO FOOD QUANTO IN QUELLO DELLE BEVANDE. QUALI SONO, INVECE, I CONI D’OMBRA CHE PRESENTANO MAGGIORI DIFFICOLTÀ?

«In linea generale devo dire che oggi chi volesse puntare su una ristorazione autenticamente bio non avrebbe particolari difficoltà. Oggi si trova davvero di tutto. Un tempo, per esempio, un vino biologico era complicato da ottenere. Oggi moltissime realtà propongono ottimi vini bio. Non entro nel merito, invece, del biodinamico, sul quale sono scettico. Abbiamo un paio di vini biodinamici in carta ma li teniamo in quanto sono vini prima di tutto biologici e perché sono buoni. La difficoltà maggiore, invece, la riscontro nella mixology».

PROPRIO LA MIXOLOGY BIO È PROTAGONISTA DEL RECENTE BIOSSERÌ DI PORTA NUOVA A MILANO.

«È il nostro terzo punto vendita ed è nato nel 2019. Abbiamo voluto puntare anche su questa novità assoluta: la presenza di un vero e proprio cocktail bar bio che arricchisce il format con originali proposte di mixology bio dall’aperitivo all’after-dinner. È guidato da Carlo Simbula e diretto dall’Executive Director del Gruppo Giacomo Cannici. La mixology bio è un trend che apre le porte a un mondo tutto da scoprire basato sulla qualità della materia e sulla sostenibilità di ogni singolo ingrediente».

IL VOSTRO È UN FORMAT BIO CERTIFICATO. IN ITALIA, AD OGGI, PERÒ, LA CERTIFICAZIONE

NON È OBBLIGATORIA.

«Viviamo, in effetti, una situazione che ritengo paradossale. Chiunque oggi può proporre piatti bio in menu. Ma a livello di regolamentazione i ristoranti non hanno bisogno di una vera e propria certificazione bio. Per questo abbiamo voluto creare, già nel 2012 quando siamo nati, una certificazione ad hoc, che ogni anno rinnoviamo su base volontaria. L’abbiamo fatta con ICEA (Istituto Certificazione Etica e Ambientale, ndr). Tutti i nostri ristoranti hanno ottenuto il certificato di conformità alla ristorazione biologica rilasciato da ICEA con il massimo punteggio».

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RITIENE CHE SAREBBE NECESSARIO NORMARE IN QUALCHE MODO QUESTA SITUAZIONE?

«Sono convinto che il biologico non sia una medaglia da appuntare al petto, ma un elemento base della qualità. I controlli che facciamo partono già dai nostri fornitori, che sono un primo filtro decisivo. È importante prendersi la briga di andare a trovare i nostri fornitori e i nostri produttori. Auspico, però, che in futuro ci possa essere un intervento normativo che inquadri a livello legislativo l’obbligatorietà di una certificazione bio nella ristorazione».

QUAL È L’ANIMA E L’OFFERTA DI BIOESSERÌ?

«Abbiamo voluto dargli un’impronta giovane e internazionale. Copre diversi momenti di consumo durante l’intero arco della giornata. Il menu è un menu ampio e variegato: pasta, carne, pesce, proposte vegetariane, vegane, pizza, realizzata con un impasto preparato con farine macinate a pietra e fatto lievitare naturalmente per 72 ore. Ma soprattutto, la nostra è una cucina tipicamente mediterranea. Il nostro Executive Chef è campano, io sono siciliano. Abbiamo un for-te legame con la mediterraneità».

IL FUTURO?

«Stiamo per aprire il quarto punto vendita, a Milano, nel quartiere CityLife. Ma le ambizioni non si fermano all’Italia. Guardiamo all’estero, a nazioni particolarmente attente e sensibili all’offerta biologica. Puntiamo a sei punti per il 2023».

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