Mauro D’Errico, presidente e cofondatore di Fra Diavolo
INGEGNERIZZARE I PROCESSI E SFATARE TABU. ECCO COME MAURO D’ERRICO E GIANLUCA LOTTA HANNO CREATO UN FORMAT DI PIZZA REPLICABILE DI QUALITÀ
Quella di Fra Diavolo, catena di pizzerie italiana nata nel 2018 da un’idea di Mauro D’Errico e Gianluca Lotta, oggi di proprietà di Gioia Group Spa, è una storia che vale la pena conoscere. Per diversi motivi: per la mentalità gestionale e la capacità di sviluppare innovazione; per la capacità rialzarsi da un momento difficile; per il coraggio di sfidare tabu e convenzioni gastronomiche radicate nel tessuto culturale italiano. Una mentalità che oggi racconta un format che vale 29 punti vendita in Italia e uno aperto recentemente negli Stati Uniti, a Miami. «Quando nel 2019 abbiamo aperto le prime 5 pizzerie, nonostante il successo ottenuto, abbiamo subito capito che qualcosa non funzionava – spiega Mauro D’Errico. – Il modello era difficilmente controllabile e scalabile. Quello che abbiamo cercato di fare è stato affrontare il mondo della pizza con quanta più managerialità e scientificità possibile. Affrontando in maniera laica la ristorazione, senza quei dogmi culturali che spesso ne condizionano il risultato».
IL CONSUMO DI PIZZA
+14%
CONSUMI PIZZA IN ITALIA 2023
2,7 MILIARDI
PIZZE SFORNATE ALL’ANNO
65%
ITALIANI CHE HANNO MANGIATO PIZZA
ALMENO UNA VOLTA A SETTIMANA
Fonte: indagine Coldiretti/Ipsos
“L’INGEGNERIZZAZIONE DEI PROCESSI, ANCHE NELLA RISTORAZIONE, SIGNIFICA ESASPERAZIONE DELLA QUALITÀ”
2018
ANNO DI NASCITA
FRA DIAVOLO
29
PIZZERIE IN ITALIA
1
PIZZERIA NEGLI STATI UNITI
(MIAMI)
1
MEMORANDUM
PER L’APERTURA DI 20 PIZZERIE IN OLANDA
“LA COSA PIÙ DIFFICILE È VINCERE IL FRENO DEL SI È SEMPRE FATTO COSÌ”
LA RIVOLUZIONE CHE STA ALLA BASE DI FRA DIAVOLO PRENDE LE MOSSE DA UN MOMENTO DIFFICILE
«Credo che ogni crisi sia un acceleratore di processi. Durante il Covid ci siamo detti: o ne usciamo cambiati o non ne usciamo. Abbiamo avuto il tempo di fermarci, ragionare e fare ciò che mai nessuno aveva fatto in passato. La sfida sulla quale ci siamo concentrati ha riguardato il modello produttivo stesso di fare la pizza, ingegnerizzando i processi e cercando di smantellare la prassi tradizionale priva di scientificità».
IN CHE SENSO?
«Parliamo di un prodotto che ha nella manualità l’80% della sua natura, dove il concetto di artigianalità è stato sempre considerato elemento imprescindibile per un risultato di qualità. La pizzeria ha sempre implicato un processo produttivo basato sull’approssimazione dell’uomo, difficilmente modulabile e scalabile e, lì dove replicato, diseconomico o a rischio di un calo di qualità. Un fattore che ha reso sempre impossibile la realizzazione di catene di pizzerie che possano assicurare una qualità certa e costante».
QUAL È STATA L’INTUIZIONE CHIAVE?
«Sin dal 2019 ho implementato in azienda un ERP, un sistema di controllo di gestione, mutuato dal mondo industriale, per avere un controllo sul food cost non solo in termini di valore economico ma anche di fidelizzazione della clientela. Ogni qual volta, infatti, si riesce a mantenere intatta la ricetta, si crea quell’abitudine al gusto che nel retail è elemento cardine per far crescere il brand. Ci siamo chiesti: come possiamo garantire un risultato di qualità prescindendo da variabili come il luogo, l’acqua, l’aria, l’umidità? Abbiamo studiato per due anni i processi, lavorando con un pool di ingegneri e tecnologici alimentari. Individuando scientificamente il miglior impasto».
COME AVVIENE IL PROCESSO PRODUTTIVO?
«Abbiamo realizzato un laboratorio a Torino dove produciamo i nostri impasti in una camera bianca, con temperatura e umidità controllata, seguiti costantemente da un tecnologo alimentare. Dietro la creazione di una pizza ci sono principi di chimica alimentare che vanno conosciuti. Dire che l’impasto migliore si fa su excel è provocatorio ma è la verità. Oggi siamo in grado di spedire al nostro locale a Miami 80.000 palline a temperatura controllata. In ogni nostro punto vendita abbiamo una fermalievito controllata tramite software 4.0 che, a prescindere dal luogo in cui si trova il locale, garantisce un ciclo di lievitazione identico. L’ingegnerizzazione, in tal senso, significa alta qualità. Anzi, esasperazione della qualità».
20 MILIONI
FATTURATO ANNUO
FRA DIAVOLO
“FIN DAL PRIMO PUNTO VENDITA ABBIAMO RAGIONATO COME SE GIÀ NE AVESSIMO 100”
QUAL È STATA LA SFIDA PIÙ DIFFICILE?
«Le più grandi difficoltà sono state culturali. In Italia siamo molto forti nella creatività, un po’ meno nel realizzare processi che siano uguali nel tempo e nello spazio. L’errore sta nel pensare che artigianalità sia sinonimo di qualità. Non è sempre così. A volte artigianalità può significare semplicemente approssimazione. Il lavoro profondo sui processi ci ha permesso di conoscere meglio le materie prime e quindi di valorizzarle meglio e averne più rispetto. Utilizzadndo la scienza e l’ingegnerizzazione per trasformare qualcosa di approssimativo in qualcosa di controllato maniacalmente. Questo tipo di approccio ci ha permesso di ottenere un prodotto di qualità certa e replicabile».
UN MODO DI FARE IMPRESA CHE PORTA CON SÉ UNA MENTALITÀ NON SCONTATA IN ITALIA
«È una forma mentis sulla quale abbiamo lavorato molto, ancora piuttosto estranea al tradizionale approccio italiano. Fin dal primo punto vendita abbiamo ragionato come se già ne avessimo 100. Un modello (una best practice, ndr) applicabile anche ad altri ambiti. La cosa più difficile è vincere il freno del “si è sempre fatto così”».
RIGUARDO ALLA PAURA CHE L’INGEGNERIZZAZIONE POSSA TOGLIERE LAVORO?
«Il nostro modello porta vantaggi anche al personale. Lavorare su processi ingegnerizzati significa abbattere lo stress lavorativo di gesti lavorativi ripetuti in condizione faticose a temperature molto alte. I nostri pizzaioli non tornerebbero indietro. Inoltre, se è vero che ogni punto vendita oggi ha bisogno di meno pizzaioli, è altrettanto vero che, potendo aprire più punti vendita, posso assumere più pizzaioli. Oggi i nostri numeri parlano di un numero complessivamente in crescita di persone assunte, con più qualità lavorativa».
IL SUCCESSO DI FRA DIAVOLO MOSTRA UNA CAPARBIETÀ E UNA PROPENSIONE AL RISCHIO IN GRADO DI SUPERARE ANCHE MOMENTI DI GRANDE DIFFICOLTÀ. UN’ALTRA LEZIONE DI CUI FARE TESORO
«Non saremmo arrivati al punto in cui siamo oggi se non avessimo fallito in passato. Nel 2018 arrivavo dall’insuccesso di alcune precedenti iniziative. Insuccessi senza i quali non avrei potuto costruire il successo di Fra Diavolo. Credo che sia molto importante riflettere sulla concezione negativa del fallimento che abbiamo in Italia. Al contrario, il più delle volte è necessario toccare il fondo per poter ripartire con successo. Con una marcata propensione al rischio intesa come predisposizione al cambiamento».